Nel 1992, un piccolo studio chiamato id Software lanciò un gioco destinato a cambiare per sempre la storia dei videogiochi: Wolfenstein 3D.
Con la sua visuale in prima persona, i corridoi labirintici e l’azione frenetica, definì le basi di un genere che avrebbe dominato il decennio successivo: gli FPS.
Le origini
L’idea di partenza era semplice ma geniale: far vivere al giocatore la fuga di William “B.J.” Blazkowicz, un soldato americano intrappolato nel castello nazista di Wolfenstein.
Il motore grafico sviluppato da John Carmack sfruttava una tecnica innovativa, il ray casting, per simulare un mondo tridimensionale su computer dell’epoca.
Il risultato fu un’esperienza mai vista prima: veloce, fluida e adrenalinica.
Un gameplay diretto e frenetico
Niente dialoghi, niente tattiche complesse: solo caccia al nemico e sopravvivenza.
Ogni livello era un labirinto pieno di guardie, segreti e chiavi da trovare.
La formula “corri e spara” diventò immediatamente sinonimo di divertimento puro, ponendo le basi per Doom e tutti gli FPS a venire.
La rivoluzione shareware
Come Doom un anno dopo, anche Wolfenstein 3D fu distribuito in versione shareware: il primo episodio gratuito, gli altri acquistabili.
Un modello che permise al gioco di diffondersi rapidamente in tutto il mondo e di far conoscere id Software a milioni di giocatori.
Impatto culturale
Wolfenstein 3D è considerato il padre degli sparatutto moderni.
Il suo successo spinse molti studi a sperimentare nuovi motori 3D, mentre la figura del “giocatore in prima persona” divenne il simbolo del gaming su PC.
Ha anche generato controversie — in particolare per i simboli nazisti, che portarono a ban temporanei in Germania — ma il suo valore storico resta indiscusso.
Perché giocarci oggi
Oggi Wolfenstein 3D è disponibile in versione browser, su Steam e in raccolte retro.
Pur nella sua semplicità, resta un testamento di creatività e coraggio tecnico.
È la prova che una buona idea, unita a innovazione e passione, può cambiare un intero genere.
Conclusione
Senza Wolfenstein 3D, probabilmente non avremmo mai avuto Doom, Quake o Half-Life.
È il punto di partenza di tutto ciò che amiamo negli sparatutto, e merita a pieno titolo un posto nella memoria collettiva dei videogiocatori.



